È possibile curare la mente con i farmaci o con l’elettroshock? Chi decide cosa sia patologico e cosa normale nel pensiero e nell’agire di ciascuno di noi?
Il documentario di Valentina Giovanardi, Code di lucertola, proiettato ieri sera al cinema Jolly2 di S. Nicolò per la rassegna Doc in Tour – Documentari dell’Emilia Romagna, affronta con sensibilità il problema dei ricoveri coatti nelle strutture psichiatriche e degli abusi che spesso si verificano. Attraverso una serie di interviste montate con efficacia narrativa, emerge come la chiusura dei manicomi e la legge 180 del 1978, conosciuta come legge Basaglia anche se il medico di fatto non l’approvò, non abbia cambiato molto la condizione dei malati e dei reparti psichiatrici.
Privi di contatti con l’esterno e soprattutto di credibilità, in quanto affetti da disturbi mentali, i ricoverati perdono lo status di persona per diventare meri oggetti di pesanti cure farmacologiche, di trattamenti contenitivi di cui si fatica a capire il senso. Lontani dalla normale routine degli altri reparti, i malati facilmente sono vittime di medici e operatori perversi, come nel caso di Marzia, una donna di 52 anni, costretta a osservare la masturbazione di un infermiere accanto a lei, legata al letto. O di Katlin, incapace di muoversi per l’effetto dei farmaci per settimane, ricoverata con la forza su richiesta dei vicini di casa. Gli stessi vicini, spacciatori, che le avevano tagliato le gomme e bruciato l’auto, per decine di volte.
Ma davvero la psichiatria, come dice lo psicologo Antonucci nel documentario, è soltanto una forma di controllo sociale, un metodo repressivo che vuole punire chi ha un modo di pensare o di agire non conforme alla maggioranza? La malattia mentale non esiste, allora?
Valentina Giovanardi, molto brava nel far emergere la sofferenza degli intervistati, imprigionati dentro percorsi di cura del tutto asettici e spersonalizzati, sembra non considerare affatto l’esistenza della malattia mentale e la possibilità di cure efficaci anche attraverso i farmaci.
Se è indubbio che all’interno delle strutture psichiatriche si verificano spesso maltrattamenti e abusi, che l’uso dell’elettroshock è ancora considerato valido, e che il ricoverato spesso perde la sua dignità di persona per identificarsi solo con il suo disturbo, è anche vero che la malattia mentale esiste e che la psichiatria non è solo il braccio repressivo del potere.
Una visione così semplicistica, altrettanto ideologica, non aiuta nessuno. Soprattutto chi vive la follia non come libera e inconsueta espressione di sé, ma come pece vischiosa che tutto contamina di angoscia e ossessioni, dentro incubi che impediscono di vivere bene. A volte anche solo di vivere.
Camilla Trasciatti