Una mafia più civile dentro una società più mafiosa. E' il monito inquietante lanciato ieri sera da Piacenza dal magistrato Antonio Ingroia, in prima linea dalla direzione antimafia di Palermo nella lotta contro la criminalità mafiosa, invitato alla Camera del lavoro da Libera e dalla Cgil. "Archiviata la fase stragista, oggi la mafia - ha sostenuto - mira agli affari ed in particolare a quelli del nord, nella generale disattenzione".
Con lucidità Ingroia ha ripercorso gli ultimi 15 anni di lotta alla mafia da parte dello Stato, individuando nel 1993 una cesura importante. "Dopo la fine delle stragi con la mafia è iniziata una convivenza da parte dello Stato; poco prima dell'approdo alla cosiddetta seconda repubblica, è stata trattata e concordata una tregua armata con le organizzazioni criminali: la fine delle stragi, in cambio di un allentamento della repressione. Così la mafia si è fatta più civile, i mafiosi sono diventati più accettabili ed è capitato di sentire ministri sostenere che in Italia con la mafia occorre convivere. In questi anni abbiamo assistito ad una mutazione del nostro paese, con una sempre maggiore tolleranza nei confronti di un tasso crescente di illegalità. La mafia non è cambiata, semplicemente è tornata alle sue origini, si sono ristabiliti i rapporti di forza con la borghesia mafiosa siciliana. Chiusa la parentesi sanguinaria e dello scontro aperto con lo Stato di Riina e Provenzano, oggi le organizzazioni criminali sono state capaci di rimpiazzare i capi e, nonostante le difficoltà, puntano ad espandersi negli affari, ad accumulare soldi, infiltrandosi nelle zone più propizie come il Nord, e cercando di cogliere alcune importanti occasioni come l'Expo 2015. E questo avviene nel disinteresse generale".
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