L'iniziativa del Ministro Brunetta contro gli sprechi nella Pubblica Amministrazione ha suscitato parecchie polemiche. Nel mirino sono finiti anche i Giudici: «Molti magistrati ... lavorano solo 2-3 giorni a settimana, 2-3 pomeriggi a settimana e poi stanno a casa. Ecco, vorrei mettere i tornelli anche per i magistrati. Io l'ho già fatto a Palazzo Chigi, nel mio ministero e vorrei farlo per tutta la pubblica amministrazione, quindi magistratura compresa. Mi diranno di tutto, ma io vado avanti», ha dichiarato il Ministro.
L'Associazione Nazionale Magistrati, per bocca del Presidente Luca Palamara, ha ribattuto che, piuttosto dei tornelli, c'è bisogno di più fondi per spese di giustizia e personale amministrativo, nonché di nuove aule ed uffici.
In realtà, non sembra facile destinare maggiori risorse alla macchina giudiziaria, in un paese dove – per esempio – si sono spesi nel 2006 ben 224 milioni di euro in intercettazioni telefoniche per il «controllo degli indagati» (nel 2005 erano stati addirittura 287) e nel quale (fonti Eurispes) in cinque anni, dal 2000 al 2004, le spese a tale titolo sono aumentate del 124% (fonte Panorama).
Dati alla mano, le Corti d'Appello – settore civile e del lavoro – tengono mediamente un'udienza al mese, quelle penali due. A causa di tali numeri, in alcune realtà territoriali le udienze vengono rinviate al 2014.
A Roma le cose non vanno meglio: ogni magistrato di Cassazione tiene normalmente quattro udienze al mese.
Considerato che la mole delle cause cresce in maniera esponenziale di anno in anno, ecco spiegata la ragione per cui in Italia abbiamo un arretrato di oltre cinque milioni di cause civili di oltre tre milioni di procedimenti penali.
Nei tribunali, fortunatamente, le cose vanno assai meglio, ma – nonostante l'impegno dei singoli giudici – il ritmo di lavoro non è tale da smaltire l'arretrato.
La conclusione è che si arriva all'emanazione di una sentenza mediamente nell'arco di dieci anni (il doppio dell'obiettivo comunitario di cinque/sei) e tale tempistica apre la porta ai ricorsi dei cittadini sui «tempi ragionevoli» del processo, per i quali lo Stato italiano paga ogni anno milioni di euro a coloro che gli fan causa per i processi lenti.
Nel frattempo, i magistrati fan carriera in base a criteri legati all'anzianità, ma non all'efficienza ed alla produttività, sostanzialmente fuori controllo.
I mali della giustizia sono certamente profondi e le strutture rivelano in alcuni casi inadeguatezze evidenti, ma la sensazione è che la magistratura reagisca ad ogni tentativo di riforma e di innovazione con una difesa a riccio della categoria, difesa che, per salvaguardare i fannulloni, va a nocumento – in definitiva – di quei giudici (la stragrande maggioranza) che fanno puntualmente il proprio dovere.
Massimo Trespidi
Coordinatore Provinciale Forza Italia e Popolo delle Libertà
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