Norman Zarcone si è suicidato, si è tolto la vita per l'insopportabile peso di "non avere un futuro". Lo ha scritto lui, questa volta non è un invenzione dei giornali o di qualche facinoroso che protesta il primo giorno di scuola. Lo ha scritto lui e siamo sicuri, pur non conoscendolo, che la sua mano in quel momento tremava. Dottorando in filosofia del linguaggio, laureato con 110 e lode, 27 anni, da qui a pochi mesi il suo dottorato sarebbe finito, nessuna prospettiva di una carriera universitaria.
Norman per mantenersi faceva il bagnino, perché la borsa di studio da dottorando non bastava, e lui, signori, era una delle numerose eccellenze del nostro paese, paese con la p minuscola, perché un paese che permette questo, non la merità la sua autorità.
E allora lasciateci gridare: "Noi viviamo in un paese di Merda". Perché se vuoi fare carriera ti devi prostituire, Norman invece aveva deciso di studiare.
Omicidio di Stato, avrà pensato anche questo mentre la mano tremava. Ha pensato di farla finita proprio dal settimo piano della sua facoltà che tanto amore per il sapere gli ha donato ma che tanto dolore gli ha provocato per l'ignoranza altrui.
Complimenti signori miei, perché questo, è OMICIDIO DI STATO. Perché? Perché tutti noi: cittadini, studenti, organizzazioni, partiti, politici abbiamo permesso in questi anni che venissero demolite le fondamenta di un Paese civile, un Paese che investe nella cultura, e che non abbandona le sue eccellenze.
Noi Norman non lo conoscevamo, ma sento il suo dolore. Sento la sua angoscia, la profondità del suo monito, la drammaticità della sua fine, la sento, la sento a tal punto che mi trema la mano.
Noi Norman non lo conoscevamo ma sentiamo il suo dolore. Sentiamo il dolore dei "senza futuro", di quelli che pagano l'ingordigia altrui, le vittime sacrificali sull'altare del profitto, della lotta per un potere che per Norman ha significato morte.
Noi Norman non lo conoscevamo ma sentiamo il suo dolore. Sentiamo il peso della precarietà delle nostre generazioni, sentiamo la volgarità dei governanti, il disprezzo per la vita altrui.
Caro Norman, ti sei privato della cosa più bella che potesse esistere, la vita. Una vita che sappiamo averti riservato enormi sofferenze, l’insicurezza, la paura del futuro, la paura della propria stessa vita. Ma ci hai lasciato un messaggio, quello di non lasciare soli i tanti dottorandi che come te si sentono abbandonati da uno Stato che pensa a tutto, tranne che alla Scuola e alla ricerca. Tu ci hai lasciati, ma lo Stato non parla di te: non ti hanno rispettato da vivo, non ti rispetteranno neanche da morto.
Caro Norman scusaci, in fondo non ti conoscevamo ma è come se fossimo cresciuti insieme, la tua storia la conosciamo è la storia delle nostre generazioni. L'ultima parola però la lasciamo a te con le tue ultime parole, che, come dice una vecchia canzone, sono troppo gelate per sciogliersi al sole…CIAO NORMAN
"La libertà di pensare e anche la libertà di morire. Mi attende una nuova scoperta anche se non potrò commentarla".
Niccolò Morelli