Per il ramadan PiacenzaSera.it offre una serie di approfondimenti sulla comunità musulmana della città
Alcuni lo chiamano “sheikh” (in arabo: studioso dell’Islam), altri “imam” (direttore della preghiera) ma non è proprio un “‘alim” nel senso tradizionale termine Mohamed Shemis. Gli ulema (plurale di ‘alim, in arabo: dottore dell’Islam) studiano nelle grandi facoltà di teologia e di giurisprudenza di Damasco, o nella prestigiosa università di Al-Azhar del Cairo e una volta laureati possono ricoprire diverse funzioni a seconda della propria specializzazione: da imam, a sheikh, a qadi (giudice di diritto della famiglia in alcuni paesi musulmani) fino a muftì (giureconsulto). Sono tutti ulema, ovvero quel gruppo sociologico che più si avvicina al nostro clero. Ma Mohamed che è originario proprio della città che ospita forse il più importante centro di studi religiosi, Al-Azhar per l’appunto, è un artigiano cinquantenne dai capelli rossi e la pelle lentigginosa con alle spalle studi di ingegneria al politecnico di Torino. E’ un punto di riferimento per i musulmani oltre ad essere un lucido interlocutore nell’emergente società multietnica e multi confessionale piacentina:”La nostra comunità non è ancora bene organizzata rispetto alle altre, anche se siamo più numerosi degli altri per via del fatto che la nostra non è una religione che rispecchia un’etnia, l’Islam è una religione universale. Le comunità cristiane ci invitano sempre ai loro seminari, forum e dibattiti interreligiosi, cosi anche il Centro Multiculturale di Piacenza, anche noi vorremmo proporre iniziative ma non abbiamo ancora strutture adeguate per farlo”. E’ troppo preparato l’imam per cadere nelle polemiche sulla costruzione di un luogo di culto per i musulmani di Piacenza:”Una moschea presuppone un minareto, è una costruzione elaborata, a noi basterebbe una sala di preghiera più spaziosa oppure ristrutturare semplicemente quella che già abbiamo per non chiedere l’intervento del Comune”.
L’imam si riferisce alla sala di Torrione Fodesta, uno spazio di 50 mq che si trova vicino alla stazione ferroviaria, attaccata ai dormitori per i migranti, una delle due aree in cui i musulmani di Piacenza si ritrovano per pregare, l’altra è il capannone (più capiente) di via Portapuglia, una perpendicolare della Caorsana. Torrione Fodesta è anche la sede dell’Associazione “Centro culturale islamico di Piacenza”, una struttura che però non esiste, in pratica:”Non abbiamo uffici nel centro di Torrione Fodesta, solo una sala per pregare e non è molto grande” dice cautamente l’imam che per il venerdì, giorno di preghiera più importante in cui per la Tradizione è imperativo pregare in pubblico e quindi recarsi in una moschea o in una sala, amplia la zona “pregabile” mettendo tappeti e una tettoia all’esterno della saletta così da poter accogliere gli oltre 400 fedeli che vi si recano regolarmente. “Stiamo raccogliendo soldi, fra i musulmani della città, per ristrutturare l’edificio e renderlo la sede di un vero centro culturale islamico con sala di preghiera” auspica l’imam. In realtà ci vuole poco, le moschee sono di solito molto spoglie e poco decorate essendoci il divieto di raffigurazioni antropomorfe nella cultura islamica. Indispensabile è che ci sia il mihrab, quella nicchia che indica la qibla (ovvero la direzione di La Mecca), qualche tappeto e lavandini a sufficienza per le abluzioni rituali prima della preghiera, oltre a uno spazio adeguato.
Perché i Musulmani a Piacenza sono più di 7000, anche se non tutti parlano la lingua della Rivelazione:”Ci sono tanti europei, ragazzi bosniaci e albanesi, conoscono solo qualche ayat (versetti) in arabo; con loro parlo sempre in italiano” dice Mohamed Shemis che conferma anche l’idea per la quale in tempi di crisi le persone si orientano maggiormente verso la religione:”Durante il Ramadan la partecipazione è sempre quasi assoluta, ma in sala di preghiera viene sempre più gente che chiede conforto e aiuto economico, il
lavoro è il primo problema dei miei correligionari, la crisi ha colpito tante persone”, che per la comunità musulmana significa in maggioranza lavoratori uomini che fanno soprattutto lavori di fatica. Pochi i nuclei familiari e le disparità fra presenza femminile e maschile nella composizione dell’insieme delle comunità di religione musulmana è palese. Per fare qualche esempio: su 355 Senegalesi residenti in città solo 86 sono di sesso femminile e su 441 nuovi cittadini egiziani le donne sono appena 131, leggermente meglio fra i Marocchini, quarta comunità etnica di Piacenza, con 1554 residenti in totale di cui 684 sono donne (fonti
del Comune di Piacenza aggiornate al 12 luglio 2010).
(1 - Continua).