L’approvazione – nella Commissione Cultura della Camera – di un emendamento che consente l’assolvimento dell’obbligo di istruzione nell’apprendistato dà plasticamente e concretamente l’idea del totale disimpegno di questo governo nei confronti del diritto all’istruzione dei giovani.
Dopo i tagli alla scuola pubblica, dopo aver svuotato le casse delle scuole, dopo aver licenziato i precari, ecco ora il colpo finale che porterà migliaia di ragazzi ad abbandonare i percorsi scolastici.
Vogliono i cittadini più ignoranti, e nel contempo li vogliono subito disponibili ad essere sfruttati già a 15 anni, sottopagati e privi di diritti.
E’ una norma in palese contrasto con la Legge 296/2006, che, grazie ad uno dei pochi risultati del governo Prodi, aveva innalzato a 16 anni sia l’obbligo di istruzione che l’età minima per essere avviati al lavoro.
E’ una norma che cancella con un colpo di spugna tutte le esperienze, faticose ma importanti, di contrasto alla dispersione scolastica.
E’ una norma che penalizza i più deboli, che per difficoltà economiche e disagio sociale sono spesso portati ad inseguire il miraggio di qualche euro anziché impegnarsi in un cammino più lungo di emancipazione.
E’ una norma che si accompagna all’idea regressiva di sviluppo economico, dove la competizione è giocata sui costi anziché sulla qualità.
E’ una norma classista, che impedisce la mobilità sociale.
Le forze imprenditoriali che salutano con favore con questa disposizione dovrebbero spiegare almeno 2 cose.
La prima: in una fase economica e sociale che sta vedendo migliaia e migliaia di lavoratori espulsi dal ciclo produttivo attraverso i licenziamenti e le casse integrazioni, come è possibile affermare che per i giovani di 15 anni avviati all’apprendistato si apriranno subito le prospettive occupazionali? se ci sono posti di lavoro disponibili, si riassumano i licenziati, i cassintegrati, i disoccupati.
La seconda: l’ISFOL (cioè un istituzione pubblica, non un organo di parte) nel suo ultimo rapporto dedicato all’apprendistato professionalizzante (una scelta che già oggi esiste, ma successiva all’obbligo di istruzione e cioè dopo i 16 anni) certifica che meno del 20% dei ragazzi apprendisti oltre al lavoro svolge anche formazione. Di quale “valenza formativa del lavoro” stiamo allora parlando?
E’ perciò evidente l’ipocrisia sia di queste forze che del governo: l’apprendista quindicenne (meno pagato, forse per nulla pagato, e con meno diritti) sostituirà in azienda il lavoratore licenziato o cassintegrato (consentendo al padrone di risparmiare e aumentare i propri profitti), e inoltre molti meno ragazzi continueranno gli studi nella scuola pubblica (in particolare saranno penalizzati gli istituti professionali) favorendone lo smantellamento e l’impoverimento.
Rifondazione Comunista chiede al Parlamento e al Paese di fermarsi a riflettere, e di abbandonare questa pericolosa strada di degenerazione del sistema formativo confermando l’obbligo di istruzione a 16 anni e rafforzando le politiche di sostegno alla scuola pubblica.
Non abbiamo bisogno di ignoranza, non abbiamo bisogno di nuovo e ulteriore sfruttamento.
Abbiamo bisogno di ragazzi che studiano e di adulti che lavorano.
Roberto Montanari
Segretario provinciale di Rifondazione Comunista