Lettera inviata dai rappresentanti di Giovane Italia di Piacenza
Egregio direttore,
è di pochi giorni fa la proposta, avanzata da una parte della maggioranza governativa, di introdurre l’insegnamento della religione islamica nelle scuole italiane quale possibile alternativa per gli studenti alla tradizionale ora di religione cattolica. I sostenitori dell’iniziativa non hanno mancato di precisare che la diffusione della conoscenza degli insegnamenti del Corano nelle scuole rappresenterebbe un’occasione per favorire una migliore integrazione di molti studenti immigrati che, oltre a poter approfondire i principi della propria fede, verrebbero agevolmente sottratti al rischio di divenire vittime di ambienti fondamentalisti. Alcuni esponenti politici, poi, hanno precisato che lo studio dell’Islam a scuola rientrerebbe nel novero dei diritti che lo Stato italiano dovrebbe garantire nell’ambito dello svolgimento di un servizio di istruzione in favore degli individui. Certe frange della politica nostrana, infine, hanno esternato l’opportunità di introdurre l’insegnamento dei principi di base di tutte le confessioni religiose, in modo da garantire una più completa formazione degli studenti. A breve distanza di tempo, poi, si è dovuto prendere atto della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha sanzionato il nostro Paese a causa dell’uso di esporre i crocifissi nelle aule scolastiche, pronuncia emessa al presunto scopo di tutelare la libertà religiosa dei cittadini. A nostro parere, il problema dell’insegnamento religioso nelle scuole deve necessariamente essere affrontato a monte. La sfera religiosa, infatti, si pone al di là dei canoni oggettivi che la scuola, nello svolgimento di una funzione educativa, è chiamata ad adottare. La religione riguarda aspetti molto più profondi, che tendono ad incidere sulla sfera personale dell’individuo e che, di conseguenza, sono in grado di produrre conseguenze differenti in base a molteplici fattori, tra cui la sensibilità di cui ciascuno è dotato. La scuola, pertanto, non è chiamata a salvaguardare o, addirittura, a promuovere la religiosità. A tal fine, infatti, vi sono i luoghi di culto, dove ognuno può trovare ministri, prendere parte alle funzioni ed espletare ogni altra attività idonea ad appagare i propri bisogni spirituali. Il fine della scuola è esclusivamente quello di educare, ossia di fornire cultura e senso civico. Il fatto che la Repubblica italiana, pur essendo uno Stato laico, abbia garantito l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, infatti, non può essere letto che in un’ottica di natura prettamente storico-culturale. Nessuno, infatti, ha mai preteso che la scuola si sostituisse al catechismo ed al magistero ecclesiale nel formare spiritualmente i cattolici. Asserire, quindi, che l’insegnamento della fede islamica a scuola possa agevolare il distacco dei giovani immigrati dal fondamentalismo equivale a rifiutare la funzione formativa che, invece, dovrebbe essere svolta dalle moschee e da coloro che sono preposti al loro funzionamento. Ciò, tuttavia, non esclude che le istituzioni islamiche, come ogni altra realtà associativa presente sul territorio, debbano rispettare l’ordinamento giuridico italiano. A nostro parere, l’insegnamento nelle scuole dei principi della religione cattolica trova giustificazione nella necessità di divulgare idee e valori posti alla base del patrimonio storico-culturale della società italiana, ragion per cui, un’eventuale omissione di queste tematiche, renderebbe di certo incompleta la formazione della gioventù. Indubbiamente, assume la stessa valenza l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, da intendersi quale uno dei simboli della nostra società, e non come strumento di propaganda religiosa. Chi propugna l’opportunità di introdurre l’ora di religione islamica nelle scuole o, alternativamente, un insegnamento generale dei principi di tutte le fedi religiose, pur nutrendo finalità comprensibili, risulta palesemente protagonista di un equivoco, la cui concretizzazione porterebbe indubbiamente la scuola a svolgere funzioni che non le competono e che, quindi, la sovrapporrebbero alle istituzioni religiose. Allo stesso modo, chi osteggia la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, manifesta timori assai poco fondati, in considerazione delle finalità prettamente culturali del suddetto simbolo all’interno di un contesto formativo, e dell’assenza di qualsivoglia forma di propaganda religiosa nei programmi in adozione presso la scuola italiana. Non si può, pertanto, non condividere e sostenere in pienezza la scelta del Governo italiano di impugnare la sentenza resa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo i cui effetti, a fronte dell’infondata lesività del predetto simbolo verso la sensibilità spirituale del singoli, comporterebbe un’oggettiva penalizzazione del piano formativo offerto dalle nostre istituzioni scolastiche.
Giovane Italia – Piacenza