Pensieri in controluce
La storia del Centro che Padre Claudio ci ha raccontato ha dell'incredibile e dal 92 quando è nato gliene son successe davvero di tutti i colori: hutu, tutsi, bombe, medici senza frontiere, raccolta di morti, feriti, l'altro fondatore Victor morto nel 94, ambasciatori, razzie, amici e nemici.
Sopravvissuto grazie soprattutto alla caparbietà di questo grand'uomo, è riuscito a diventare davvero un posto da cui prender spunto. Oggi coordina più di 80 progetti con la P maiuscola, ha 32300 iscritti, 67 dipendenti, coordina e in qualche modo insegna a campare a 440 associazioni (per esempio che forniscono sementi ai contadini controllandone l'utilizzo e fanno 1000 altre cose), lavora nei 6 quartieri nord della capitale che contano 300000 persone (metà Bujumbura, su una pop complessiva del Burundi di 6 o 7 milioni) nei quali fa spettacoli, concerti, 40 tornei di calcio etc etc etc....
Praticamente tirando insieme i soldi un po’ da ogni dove offre a mezza capitale tutto quel che un burundese può sperare, compresi alfabetizzazione in swaili, kirundi, francese, inglese e italiano, la biblioteca più grossa del Paese, iniziative di tipo religioso a cattolici, protestanti e musulmani e tutto sotto un' enorme e serissima bandiera etica di pace e rispetto reciproco.
Insomma, é un progetto davvero che emoziona (non per niente ha preso il Nobel Alternativo nel 2002) e che fa arrabbiare per tutti gli ostacoli che un governo corrotto fino al midollo, una gerarchia ecclesiale dalle decisioni discutibili (il centro infatti potrebbe esser chiuso il prossimo anno per volontà dell’arcivescovo) e una comunità internazionale totalmente incapace e controproducente gli mettono tra le ruote..
Il mio animatore non sa una parola d’italiano e ne sa solo due d’inglese.
La mattinata quindi é molto poco comunicativa. Si ride un po’ e mi si prende in giro qualsiasi cosa sbagli. Ma fa parte dei giochi e affondare mani e piedi nella stessa terra sporca unisce comunque molto. Ovviamente i ragazzi fanno a chi spala più forte (loro hanno davvero una resistenza incredibile) ma alla fine si ha tutti la stessa schiena a pezzi e la gola devastala dall’arsura. Lo spirito di condivisione é molto forte.
Terra e bocca sono secche
Ma se sudi e spacchi zolle
Puoi trovare un fluido antico
Che ancora non conosci
E forse ti disseterà
Simone
Piango:
E quanta gioia mi dai: vita
Sono torrenti di lacrime
a bagnare questa terra
dove non mi sento straniera.
Sono libera
di essere,
Io,
donna come sono,
aperta a tutto e tutti,
che cerco di capire
ciò che mi era sempre stato accanto
ma che per testardaggine
delle volte
non avevo voluto
vedere, udire, toccare...
Eliana
Oggi di nuovo insieme al lavoro tra il fango, ma comunque insieme.
Al ritorno con una mano nell’altra per prevenire i pericoli della strada e tanto amorevolmente togliere il fango rimasto sotto le unghie di una come me, una bianca.
La croce come punto di riferimento, un ciondolo a forma di Africa per togliere i pregiudizi e gli orecchini che a tutte le ragazze piacciono.
Tornata al lavoro.
Vedo i ragazzi spaccare la terra, vedo le donne raccogliere l’acqua.
L’acqua un bene prezioso che andiamo a prendere in un cortile (esce da un tubo), dove ci sono un paio di famiglie, ma vedo solo le donne e i bambini intenti nella quotidianità.
Uno squarcio di vita, l’entrata della casa e una madre che fa il bagno al suo piccolo proprio come da noi.
Se l’acqua manca siamo costretti ad andare al fiume.
Una cosa mai vista, come se fosse una vallata e a fondo scorresse il fiume (naturalmente poco abbondante e alcune volte stagnante), cosí ogni volta due ragazzi e le donne scendono per la scarpata e risalgono con i secchi pieni di quel liquido speranzoso.
Cosí avanti e indietro torniamo con l’acqua per ammorbidire la terra, che viene messa sulla carriola logora e stanca.
Il fango che si ricava viene impastato, sbattuto e lanciato nella piccola forma di legno, come il latte cagliato per fare il formaggio.
Poi si toglie la forma e lentamente ne sbuca il mattone, anzi due mattoni.
In questo modo si continua fino all’ora di tornare per il pranzo.
Il pranzo che diventa una festa tutti insieme, mangiando in un unico piatto (riso, fagioli, verdure e frutta) per aumentare il cibo e variare il gusto.
Con l’aggiunta di un bicchiere d’acqua.
Tutto questo lavoro per l’identità, per capire che, anche essendo diversi, si può stare insieme.
Tutto questo detto e parlato in un’unica lingua: kirundi.
Valentina