Uno il doppio dell’altro, ma solo al cinema. Elio Germano e Michele Riondino, due tra i più promettenti giovani attori italiani, hanno presentato a Bobbio “Il passato è una terra straniera” di Daniele Vicari. Ognuno con un percorso differente alle spalle, sul futuro professionale le stesse idee: basta televisione, film o spettacoli banali, ma solo storie in cui credere, perché il cinema non è un mestiere routinario da fare per soldi o notorietà. Detto da entrambi, che pure in passato hanno fatto televisione e hanno dovuto a scendere a compromessi, fa ben sperare per la settima arte.
‘‘Nel film siamo due specchi che s’influenzano reciprocamente e si annullano l’uno nell’altro, fino a diventare una figura sola’’ spiegano durante la conferenza stampa Riondino, che ha il ruolo di un giovane violento che vive di espedienti e Germano, un ragazzo di buona famiglia prossimo alla laurea. Nella vita reale la scintilla non scatta: i due s’incrociano solo sul set di ‘‘Il passato è una terra straniera’’, seguono attestazioni di stima reciproche, ma non la dipendenza che lega indissolubilmente i personaggi.
Forse perché il loro passato è davvero una terra straniera. Germano ha una carriera cinematografica solida, iniziata nel 1998 con ‘‘Il cielo in una stanza’’ di Vanzina, proseguita con film di peso differente, da ‘‘Che ne sarà di noi’’ di Giovanni Veronesi a ‘‘Mio fratello è figlio unico’’ di Daniele Luchetti, con cui ha appena finito di girare ‘‘La vita’’, in cui in cui è un operaio sposato e con figli nella periferia di Roma. Parla deciso e sicuro: ‘‘Per ora non ho altri progetti. Spero solo di continuare a fare film in cui credo e di cui condivido le istanze. Non voglio lavorare per soldi e celebrità’’.
Riondino nasce con il teatro (tra gli altri ‘‘Cani di bancata’’ di Emma Dante), fa cinema dal 2004, ha all’attivo pochi film con ruoli forti, come ‘‘Fortapàsc’’, ed è reduce dalla pièce sperimentale ‘‘Viva Niatri’’ al ‘Napoli teatro festival’. ‘‘Non posso chiedere più di quanto ho avuto finora’’ dice con grande umiltà.
Poi il discorso si approfondisce. Per Riondino il teatro è ‘‘una palestra da praticare per difenderla’’ da chi la svilisce. Come il cinema e l’arte in genere, aggiunge Germano: ‘‘Ma chi ci governa non interessa. Tagliano i finanziamenti invece di sostenerla, con il risultato che molti se ne vanno all’estero e che tra un po’, per incassare denaro, faranno fare teatro ai presentatori tv e chissà che altro’’.
L’estero di cui parla Germano non è Hollywood, ma l’Egitto e altri Paesi emergenti più attenti della patria di Rossellini, Fellini, Bertolucci e Bellocchio. Chissà che, per salvare l’arte, i due non si ritrovino in un altro film.
Alessia Strinati