Il regista romano de Il portaborse e Mio fratello é figlio unico Daniele Luchetti presenta a Bobbio la sua ultima opera, La nostra vita. "Iperrealismo? Non sta a me definire il mio cinema, nel momento in cui un'artista definisce la sua opera finisce per chiudersi in determinati schemi. Certo il mio lavoro deriva da un'attenta osservazione della realtà e dalla sua ricostruzione, dall'andare in mezzo alla gente, conoscere e ascoltare. Molte delle scene e dei personaggi dei miei film nascono dall'esperienza. Mi è capitato di svolgere delle vere e proprie inchieste, prima di scrivere una sola riga del soggetto di un film".
Con "Il portaborse" il regista anticipò gli eventi: poco dopo sarebbe affiorata Tangentopoli: "Succede appunto - spiega Luchetti - che quando ascolti quello che ribolle, ti fai catalizzatore della realtà. E grazie alle immagini riesci a raccontare in modo più efficace e diretto, e meno mediato rispetto allo scritto'.
Alla domanda se il suo nuovo film "La nostra vita" ha un finale consolatorio, Luchetti risponde così: "Si é parlato parecchio di un presunto finale buonista del film, ma non direi proprio. Se si analizza a fondo il film ci si rende conto che quello che il protagonista insegna ai suoi figli é quello che ha imparato, cioé niente. Il bilancio é negativo, rimane soprattutto amarezza".
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