Il concerto di ieri sera nella splendida sala del conservatorio di Piacenza è stato evento di straordinaria intensità musicale. Brad Mehldau è un signore singolare, in pantaloni e camicia marrone, con risvolti carta da zucchero, che si siede al piano e suona immediatamente, per non interrompere, è probabile, il trasporto emotivo che ogni concerto in piano solo ha la necessità di avere. E Mehldau è musicista di grande personalità, che è stato in grado di condurre la sala, entusiasta, su piani differenti, con la maestria tecnica e la sensibilità che gli sono caratteristiche.
Le qualità auliche dei brani in piano solo sono straordinarie, anche se si attenua l'esplosività che il musicista americano ha con la sua storica formazione in trio. Qui è tutto più meditato, più intimo e controllato rispetto alle esibizioni con Granadier e Rossy, con i quali la stupefacente indipendenza di mani di Mehldau e la consolidata abitudine al dialogo costruisce brani di grande carica adrenalinica.
Ma quello che contraddistingue realmente questo pianista, e che in qualche modo ha contribuito a renderlo celebre, è la sua capacità di reinterpretare musica proveniente da qualsiasi tradizione. Anche in questo concerto si sono sentiti pezzi derivati dalla musica popolare e altri di estrazione jazzistica eseguiti con eguale intensità e qualità interpretativa. Per fare due esempi su tutti, emblematici in questo senso, basti ricordare una bellissima versione di My favourite things da un lato e di Things behind the sun di Nick Drake dall'altro.
Il primo è stato presentato con una dolcezza struggente, ricco di suggestioni e di nuovi stimoli ma senza dimenticare mai il tema, che aleggia per tutta la durata del brano. Una adattamento che confrontato con le versioni sulfuree di Coltrane, trasfigurate da soli accesi e lunghissimi, ne recupera il lato più essenziale e seducente.
Il secondo, uno dei quattro generosi bis concessi all'incantato pubblico, è uno dei suoi pezzi più famosi, un lavoro continuo su un tema ricorrente, e molto caratteristico, che viene trattato e rimodellato attraverso un' improvvisazione immediata e felicissima.
In entrambi i casi, alla stessa maniera, si tratta di un vero e proprio manuale di come si presenta un tema, di come se ne approfondiscono i contenuti, di come ci si improvvisa estraendone le qualità profonde, i motivi essenziali, e tuttavia facendone continuamente echeggiare l'aria, di come si trasforma in jazz ogni materia.
Il concerto si è concluso con i lunghi e prolungati applausi di un pubblico profondamente coinvolto e consapevole, probabilmente, di aver assistito a una serata di eccezionale qualità musicale.
Fabio Boiardi
(foto di Angelo Bardini)