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Prima insurrezione contro il fascismo, il ricordo dei caduti FOTO

Cerimonia di commemorazione questa mattina a Barriera Genova in memoria dei caduti dello scontro avvenuto il 9 settembre 1943 nel piazzale, quando i militari in servizio nella nostra città e i civili piacentini si opposero con le armi all’avanzata delle truppe tedesche in città.

A portare il saluto della città e della provincia il vicesindaco Francesco Cacciatore e il presidente Massimo Trespidi, insieme al presidente del Comitato provinciale Anpi Mario Cravedi. Al termine della cerimonia, promossa dalle Amministrazioni comunale e provinciale e dal Comando Militare di Piacenza e alla quale hanno preso parte enti e associazioni combattentistiche e d'arma, è prevista la deposizione di una corona d'alloro in onore dei Caduti.

Il saluto del vicesindaco di Piacenza Francesco Cacciatore

Autorità, cittadini, rappresentanti delle Associazioni combattentistiche.
Commemorare l’eccidio di Barriera Genova non significa – al di là della solennità della cerimonia ufficiale, che oggi vede riunite le istituzioni e la cittadinanza – rispettare unicamente i dettami della ritualità, ma vuol dire conferire, al ricordo, una dimensione collettiva che esprime partecipazione, sincera gratitudine, consapevolezza di ciò che questo episodio ha rappresentato per la nostra città e per il cammino verso la Liberazione.
All’indomani dell’armistizio siglato l’8 settembre del 1943, che in tutto il Paese avrebbe dato avvio a cruente rappresaglie e azioni di occupazione del territorio da parte delle truppe nazifasciste, Piacenza fu teatro di un sanguinoso conflitto a fuoco che, all’alba del 9 settembre, culminò tragicamente in questo piazzale, provocando la morte di 34 soldati italiani e il ferimento di 49 persone, tra militari e civili.
A 67 anni di distanza da quella drammatica pagina di storia, rendiamo onore ai Caduti per la patria e per la libertà. A coloro che, ben sapendo a quale rischio sarebbero andati incontro, non esitarono a dare la vita per opporsi all’avanzata delle milizie tedesche. A tutte le persone il cui nome è scritto qui, su questo monumento di fronte al quale ogni giorno passano centinaia di cittadini e nel quale oggi, con profonda commozione, riconosciamo il simbolo del sacrificio delle donne e degli uomini che hanno combattuto nel nome della democrazia e del rovesciamento, ad ogni costo, di un regime xenofobo e violento.
Nelle loro gesta, e nella coerenza della scelta che li portò a decidere da che parte stare, è inciso il primo, chiaro segnale di quella straordinaria e altissima presa di coscienza popolare e civile che fu la Resistenza. “La lotta partigiana – ha scritto Giorgio Bocca – per la prima volta annullava millenarie divisioni di classe”: operai, contadini, intellettuali, insegnanti, fianco a fianco condivisero difficoltà e stenti, ma soprattutto l’energia travolgente, il coraggio, la speranza di cambiare le cose. Di costruire un futuro diverso, illuminato dal pluralismo e dall’acquisizione di diritti fondamentali e irrevocabili.
Fu ciò che accadde in quella mattina di fine estate, in questo stesso luogo. Cittadini comuni e soldati, appartenenti alle file di un esercito italiano messo in ginocchio dall’armistizio, gli uni accanto agli altri non si piegarono alle minacce, né all’intimazione di arrendersi che avrebbe significato consegnare il cuore di Piacenza alle truppe nazifasciste. Nell’eroismo di quel rifiuto, che segnò il destino dei Caduti e dei feriti di Barriera Genova, sono racchiusi i valori che ispirarono e animarono il tormentato percorso di questo Paese verso la Liberazione.
Non c’è retorica, nel ricordo della Resistenza, né anacronismo. Perché la difesa di princìpi costituzionali della libertà e della democrazia, dell’uguaglianza e del rispetto delle differenze, è un dovere cui ciascuno di noi, oggi come allora, è chiamato ad adempiere quotidianamente. Lo dobbiamo a coloro cui rendiamo omaggio in questa ricorrenza, così come ai tanti di cui forse non conosciamo il nome, ma nei cui passi abbiamo trovato, già tracciata, la strada da seguire.
I gonfaloni e i labari che incorniciano la cerimonia odierna, testimoniano la presenza importante delle associazioni combattentistiche e dell’Anpi, che ringrazio per la costanza e la dedizione nel tramandare ai giovani l’insegnamento prezioso di un passato che non possiamo dimenticare. Ho avuto modo di sottolinearlo più volte, anche intervenendo a questa stessa commemorazione: c’è una profonda e triste attualità, nelle vicende del 9 settembre 1943 così come nella rievocazione di ciò che la guerra è stata in un’Italia dilaniata dal conflitto civile, dall’oppressione straniera, da un regime dittatoriale che soffocava ogni respiro, ogni anelito di dialogo e confronto.
Ripercorrere ciò che accadde in quegli anni, in quei giorni, ci riporta al dolore acuto che ci coglie ogni volta che, da fronti lontani, riceviamo la notizia di stragi che coinvolgono i nostri militari impegnati in missioni di ricostruzione, di attentati che spezzano la vita e gli affetti di persone innocenti, di “errori” ed “effetti collaterali” che lasciano cadere bombe tra le case, negli ospedali, provocando vittime civili e inermi che sono, purtroppo, in costante aumento. E’ per questo che oggi, nel volgere indietro lo sguardo, troviamo una guida per il presente e per il nostro domani: l’impegno a coltivare la pace. Per onorare, nel migliore dei modi, anche i Caduti di Barriera Genova.
Grazie. 
 

Discorso presidente Trespidi per cerimonia caduti 9 settembre 1943

Autorità, associazioni combattentistiche, cittadini tutti, il 9 settembre 1943 segna una data tragica per la nostra città. Tragica per la barbara uccisione di militari e civili, vittime della furia nazista.
Ma quel 9 settembre rivive anche come una data di speranza e di libertà. L’attacco alla città coincise, infatti, anche con l’inizio della guerra di liberazione nazionale. L’Italia, arresasi agli alleati l’8 settembre, uscì dall’alleanza con Germania e Giappone e decise di rialzare la testa e iniziare una nuova battaglia di libertà. Come già sottolineato in alcuni discorsi precedenti, resto un profondo assertore del principio del rifiuto della guerra come metodo per risolvere le controversie tra i popoli. E’ altresì vero, però, che quando le soluzioni pacifiche vengono meno,  imbracciare le armi per cause giuste, come è giusta la lotta per ripristinare i valori della libertà e della democrazia, diventa una necessità a cui è impossibile sottrarsi.
Oggi, a distanza di 67 anni, commemoriamo la causa di uomini grandi, che – senza velleità eroiche – ma con la semplicità e l’ardore di chi lotta per consegnare un mondo nuovo ai propri figli, libero da patimenti e oppressioni, impugnarono le armi, s'opposero ai tedeschi, segnando l'inizio della Resistenza. Un sacrificio che non fu evitabile, ma che, nello stesso tempo, non fu vano.
Si succedono le stagioni, passano gli anni, ma la lotta contro la furia cieca dell’ideologia è eterna. Purtroppo vale l’assunto di Salvatore Quasimodo: “Sei ancora quello della pietra e della fionda uomo del mio tempo”. Sono passati meno di due mesi dalla morte in Afghanistan del primo maresciallo Mauro Gigli e del caporalmaggiore capo Pierdavide De Cillis. Un attentato terrorista ha spezzato le loro vite e ferito il “nostro” capitano Federica Luciani nel corso di una missione di pace. I nostri militari erano alle porte di Herat per rimuovere ordigni esplosivi improvvisati, mezzo subdolo e tremendo per seminare terrore e morte. Nel tentativo di bonificare l’area sono rimasti vittime di un’esplosione. Allora come oggi quelle vite portano con sé l’alta marca della lotta per la pace e la libertà, per portare la democrazia laddove la democrazia non è presente, è un desiderio di qualche intellettuale illuminato. Cambiano i luoghi, cambiano i tempi, ma il nemico rimane uno: l’estremismo.
Non c’è una ragione che giustifichi la morte di innocenti, di ragioni ce ne sono tante per opporsi con ogni mezzo alla dittatura e alla feroce negazione delle libertà. Non dimentichiamo che nel 2009 erano stati sei parà della Folgore a rimanere uccisi in un attentato rivendicato dai talebani.
Davanti alla lapide che commemora i caduti della Seconda guerra mondiale oggi torniamo ad onorare la memoria di chi ha avuto il coraggio, pena la vita, di alzare la voce, di gridare a costo della propria esistenza, il proprio, grande, sì alla libertà e la propria, ferma e inamovibile, opposizione all’oppressione. Purtroppo la storia ha una sola direzione e prosegue secondo i ritmi, inesorabili, del tempo. Non c’è modo di cancellare il passato, ma è possibile e doveroso fare il possibile affinché il futuro non sia macchiato di identici crimini. Lo storico Marc Bloch diceva: L'ignoranza del presente nasce fatalmente dall'incomprensione del passato”. Il sacrificio di questi uomini che hanno dato la loro vita per la causa della libertà è il miglior insegnamento che la storia possa consegnarci, antidoto e massimo scudo contro la possibilità di un ritorno alle atrocità naziste. I latini dicevano: “Se vuoi la pace prepara la guerra”. Oggi, nel terzo millennio, vorremmo abbandonare l’idea di una pace che si regge sulla minaccia delle armi. Pensiamo che un segno di speranza possa venire dalla gratuità di chi si spende quotidianamente per portare cibo alle popolazioni oppresse, assistenza medica nei territori martoriati dalla guerra, cure agli indigenti.
Ma la lapide di Barriera Genova è anche il segno tangibile, concreto che dice come anche nella schiavitù si possa essere liberi. Ci furono intellettuali che nella Francia occupata dissero: “Mai siamo stati tanto liberi come sotto l’occupazione tedesca”. L’occupazione, infatti, ha posto il popolo civile di fronte a una scelta, appunto quella tra la libertà e l’oppressione. Una scelta tanto più autentica quanto più la situazione obbligava a prendere una netta e ferma posizione. Da quella scelta “totalmente responsabile”, perché assunta in piena solitudine e in assoluta necessità, nasceva la più forte delle “Repubbliche”, nata dalla convinzione, frutto della consapevolezza. Così, dal vuoto lasciatoci dai caduti, oggi come allora può rinascere l’iniziativa, la speranza, la ricerca. Per questo, parafrasando le parole di Giovannino Guareschi a distanza di 67 anni possiamo dire che, “anche se ammazzati, questi soldati non moriranno mai”.
Massimo Trespidi (Presidente della Provincia di Piacenza)
 

 

 
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    Chiedo scusa, ma
    non capisco...ma se lo scontro è avvenuto il 9 settembre 1943, perchè la commemorazione oggi 17 settembre? Grazie per la risposta
    migliux
    17/09/2010  19.20


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