Questa mattina alle 10, a Barriera Genova, alla presenza del vicesindaco Francesco Cacciatore e del presidente della Provincia Massimo Trespidi, si è tenuta la commemorazione delle vittime dello scontro avvenuto il 9 settembre 1943 nel piazzale, quando i militari in servizio nella nostra città e i civili piacentini si opposero con le armi ai soldati tedeschi.
Agli interventi delle autorità, è seguita la deposizione di corone d'alloro in onore di coloro che hanno dato la vita per la libertà. Alla cerimonia, promossa dalle Amministrazioni comunale e provinciale e dal Comando Militare di Piacenza, hanno preso parte enti e associazioni combattentistiche e d'arma.
Il discorso del vicesindaco di Piacenza Francesco Cacciatore
I drammi e le tragedie procurati dalla guerra, purtroppo, non hanno tempo e non hanno età. Da sempre, i conflitti armati rappresentano il punto più basso, l’elemento più cruento e l’affermazione della distruttività nel cammino dell’uomo. Lo erano nell’antichità, ma a maggior ragione lo sono oggi, in un’epoca in cui la cultura della pace dovrebbe non solo essere radicata nella società civile, ma guidare anche le scelte politiche e istituzionali. Restano numerose, però, le zone del mondo in cui le guerre sono strumento del potere e fonte di guadagno, nodo terminale di contrasti religiosi e civili, malattia cancerogena che non dà tregua o speranza alcuna.
Questo male è emerso in tutta la sua drammaticità e in tutta la sua violenza nei giorni scorsi a Kabul, in Afghanistan, dove sei militari italiani sono morti, e altri quattro sono rimasti feriti, in un vile attentato che, nei modi e nei tempi, riporta alla memoria quanto accadde qui, in questo luogo, il 9 settembre 1943.
Certo, è cambiato il teatro, diversi sono gli scenari, anche i registi non sono più gli stessi. Ma alla base dell’azione dell’altro giorno c’è comunque la supremazia dell’uomo sull’altro uomo, la negazione della libertà in virtù dell’oppressione. E allora è più che mai giusto, in questa solenne circostanza, ricordare per nome i sei caduti appartenenti al 186esimo Reggimento Paracadutisti Folgore di stanza a Siena: il sergente maggiore Roberto Valente, i primi caporali maggiori Massimiliano Randino, Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto e Gian Domenico Pistonami, e il tenente Antonio Fortunato. Il loro tragico destino ci porta alla mente il maresciallo capo Daniele Paladini, che due anni fa rimase vittima di un analogo attacco a 15 km da Kabul, colpito da un kamikaze che si fece esplodere durante l’inaugurazione di un ponte realizzato dagli uomini del II Reggimento del Genio Pontieri di Piacenza.
La nostra città non lo ha dimenticato, così come non dimentica, in un presente funestato da tragedie immani, ciò che accadde qui a barriera Genova il 9 settembre 1943, in una pagina indelebile e struggente della storia della Resistenza sul nostro territorio. Era l’alba, quando il 4° Reggimento Artiglieria di Piacenza collocò due centri di fuoco in questo piazzale, che segnava l’accesso al cuore della città, e una terza postazione nei pressi del vecchio campo sportivo.
Poche ore prima, la sera dell’8 settembre, la radio aveva diffuso le parole del ministro Badoglio, che annunciava a tutto il Paese la firma dell’armistizio. I documenti raccolti dal Comitato Provinciale Anpi ci aiutano ancora una volta a ripercorrere la cronaca di quel drammatico giorno, che avrebbe segnato l’avvio della lotta per la Liberazione piacentina: dai pattugliamenti che portarono alla scoperta delle truppe tedesche in avvicinamento, allo scontro che esplose qui a barriera Genova, quando i nazisti, giungendo sul posto, ordinarono la resa dei piacentini e la consegna della città.
Il nostro schieramento non cedette a quell’intimazione, ma coraggiosamente imbracciò le armi e si oppose, in una strenua battaglia, all’avanzata del nemico. Neppure i due carri armati di rinforzo, né l’intervento di una compagnia dei genieri di leva, furono tuttavia sufficienti a impedire il drammatico esito di quel combattimento, che vide i tedeschi imporsi con il supporto di un aereo decollato da San Damiano, e registrò la caduta, nel nome della patria e della libertà, di 34 soldati italiani. I feriti furono 49. Non solo tra i militari, non solo tra chi indossava una divisa dell’esecito.
Ed è, quella delle vittime civili, una tragica costante nella storia della Resistenza italiana, così come di tutte le guerre, ieri e ancor più oggi, nell’era delle bombe intelligenti e dei conflitti che ormai non si combattono più in trincea, ma tra la gente inerme, nei luoghi più frequentati, con indiscriminata violenza.
E’ così che la presenza di tutti noi stamani, a celebrare, attraverso il ricordo, i primi fuochi di una voglia di libertà maturata durante i terribili anni della guerra, assume lo stesso valore e la stessa sensibilità, nel cordoglio per l’ennesima, sanguinosa tragedia che ha coinvolto i militari italiani nel compimento della loro missione di pace.