Alberto Radius (Formula 3) sarà al Palacastello di Castel san Giovanni oggi alle 18.30 a COME ERAVAMO – la nostra vita ai tempi del boom economico – per parlare della musica e dei movimenti giovanili all’epoca del beat, insieme a Marco Burzi e Nicola Maffi.
Negli anni '60 gli artisti italiani hanno cominciato a confrontarsi con la musica internazionale, inglese e americana. Oggi sembra ovvio ascoltare gli artisti stranieri, ma in quegli anni come arrivavano queste influenze?
Le radio libere, prima di tutto. Radio Luxembourg trasmetteva in tutta Europa, in Italia dalle ore serali fino alle 5 di mattina. Musica inglese e americana, selezionata da grandi DJ. Non trasmetteva in FM, il segnale non era nemmeno buono, ma era emozionante, ascoltare e cercare di assorbire quello che usciva: ci sembrava di andare a rubare le uova alle galline.
Oggi, ovviamente, con Internet, questo si è perso completamente. Il gusto di scoprire le cose, di andarle a cercare. L'atteggiamento nei confronti della musica era completamente diverso: se uno aspettava il filobus con un disco dei Beatles sotto il braccio, ed incontrava uno che portava sotto il braccio un disco degli Stones, nasceva già una piccola competizione.
Secondo lei quindi c'è un generale impoverimento di sentimento nei confronti della musica?
Si, lo dicevano già anche a noi 25 anni fa. Quando scrissi la canzone “Lombardia”, con il testo di Franco Battiato, mi accusarono di non avere “sentimento”, mentre invece negli anni sessanta era tutta un'altra cosa.
Nonostante questo il suo atteggiamento nei confronti della musica non è cambiato. Cosa sta facendo attualmente?
Sono 50 anni che faccio musica, il mio futuro è ieri. Mi dedico a scrivere musica, brani armonicamente più concettuali, più raffinati. Sono molto soddisfatto dei risultati: non li darò mai ad “Amici” o “X-factor”. Poi mi dedico alla musica dal vivo. Con la Formula 3 ripercorriamo un passato remoto, ripercorriamo l'esperienza con Battisti, ma sembrano brani nati ieri, per l'arrangiamento e l'approccio differente.
Tra le tante importanti, la collaborazione con Lucio Battisti è quella che affascina maggiormente. Come è stato lavorare con lui?
Ad ogni lavoro con Battisti avevo la percezione che stava nascendo qualcosa che non sarebbe stato dimenticato. Tutto era al di sopra della normalità. Nella mia carriera ho lavorato in 350 album, ma i lavori più forti sono quelli con Battisti, e i quattro album fatti con Battiato.